venerdì, giugno 29, 2012

Troppe Parole

In certi momenti mi domando come mai la mia vita sia così strampalata. Non è che ci sia qualcosa di particolarmente strano, ma se ripercorro un po' quelle che sono state le mie relazioni sociali nel tempo, mi accorgo che qualcosa non torna.
Generalmente si cresce con un carattere ed una indole ben distinta se si ha la fortuna di essere equilibrati, io al contrario sono forse troppo camaleontico e ambiguo. Ho passato anni a non spiccicare una sola parola, restando chiuso nella mia introversione e timidezza ad osservare tutti gli altri che parlavano e parlavano, raccontavano, commentavano e discutevano; io me ne stavo lì in un angolo ad ascoltare ed osservare e nemmeno ci si accorgeva della mia presenza. Per questo motivo, spesso le persone venivano da me a raccontarmi delle cose, tanto immaginavano che non avrei controbattuto e cosa più importante non avrei raccontato in giro niente perché tanto non parlavo quasi per nulla in genere. In questo periodo avevo anche una certa repulsione per i telefoni (all'epoca c'erano solo quelli fissi) e se dovevo usare quello strumento, facevo ridere e in certe occasioni anche un po' di tenerezza, perché ero esageratamente stringato nelle parole, asciutto a punto di dire proprio solo l'essenziale e si vedeva e si sentiva l'imbarazzo di stare al telefono.
Poi venne il tempo delle esperienze lontano da casa e lì un po' di cose sono cambiate: non solo la necessità di dovermi muovere in posti sconosciuti, ma anche certe situazione in cui mi sono ritrovato hanno fatto si che la mia dialettica salisse di un passo, quel tanto che bastava per interagire e non dimostrare debolezze o lacune. La cosa me la sono spiegata banalmente come senso di sopravvivenza, ma non era solo quello, c'era sicuramente dell'altro. Venne il tempo poi della maturità, concedetemi questo termine, dove in realtà venivo interpellato appositamente con cognizione di causa per dire le cose che non volevano dire gli altri, si perché per quel senso di sintesi e essenziale comunque restava, e con la voce del "silenzioso" sputavo i rospi che altri non volevano tirar fuori (questo è il periodo degli ultimi 5 anni di basket dove ero la voce della verità della squadra); il compito mi era facile perché non ero raccomandato o parente di nessuno, per cui non rischiavo nulla, male che andava mi prendevano per un visionario o un eccentrico.
Ci fu poi il tempo della rivoluzione. Non mi è ancora bene evidente quando accadde, ma sta di fatto che ad un certo della mia vita se mi si dava occasione di parlare, era la fine: non la smettevo più non c'era verso di togliermi la parola, che poi non ero arrogante o pedante e prepotente e che non c'era motivo di replica o possibilità di interrompermi.
Dal mutismo quasi totale sono arrivato alla prevaricazione verbale come a voler liberare tutte le parole mai pronunciate, arrivando a superare pure l'odio per il telefono, strumento oggi che riempie buona parte delle mia giornata, per lo più per lavoro, dove poi in questo contesto si sprecano proprio.
Dopo questo periodo di oratoria quasi dirompente a d oggi ci sono stati poi momenti altalenanti e discontinui che erano conseguenza di vari e molteplici stati di umore.
Ora? Ecco qui nasce il mio dilemma perché sono arrivato all'esatto estremo dal quale sono partito, ovvero ora non ne posso più delle troppe parole. Ci si parla addosso di continuo, al telefono, con le e-mail, anche attraverso questi blog od ogni altro strumento di comunicazione; sono talmente tante queste parole che sono ubriaco e nauseato, non sopporto nemmeno più le mie di parole (sto già scrivendo troppo in questo post). Le parole sono diventate davvero troppe, ridondanti, frastornanti, eccessive, smodate, inappropriate e senza senso nelle loro contrazioni, abbreviazioni e slang di varia natura.
Non ho modo di fare una statistica ma credo che più del 70% del nostro tempo lo passiamo a vomitare parole per ogni motivazione al punto da non accorgerci di essere ripetitivi e alienanti. Gli ultimi accadimenti di questi due mesi mi hanno saturato, e non solo sto progressivamente diminuendo le parole, ma sto anche smettendo di ascoltare, quanto meno cerco di selezionare argomenti e temi che abbiano un senso.
Ora una persona può svarionare così tanto nel proprio carattere passando da un eccesso all'altro senza una regola è un motivo ragionevole? Mi sento strampalato, stralunato non so più se parlare, perché quando lo faccio pare che usi una lingua incompresa, piuttosto che stare in silenzio dando l'impressione di mancanza di presenza e convivialità.
Al momento ritengo che ci siano troppe parole in ogni dove e torno nel mio silenzio, sperando di trovare almeno qualcosa di interessante da ascoltare e non le solite banalità.

martedì, giugno 12, 2012

Non è Solo Questo

Giornata alquanto impegnativa quella di oggi. Sveglia alla solita ora, arrivo mattiniero al lavoro, lentamente riprese le quotidiane attività che mi competono. Le energie sembrano a zero, come pervaso da un senso di svogliatezza, ma non è questo... non è solo questo. Anche le le persone che mi circondano sono allo stremo, ognuno per i propri motivi. L'atmosfera è particolarmente pesante da sostenere. Mancano forse gli stimoli? Non lo so. Non è solo questo. Poi iniziano ad arrivare segnali, tutti orientati nella stessa medesima direzione. Si concretizza un senso di sgomento, un senso di impotenza, un senso di frustrazione. Non è successo niente di particolare, ma le reazioni di chi torna dalla casa madre, una discussione la sera prima che ha lasciato un senso di inconcludenza o di incompiuto forse sarebbe meglio dire. Un riunione dell'ultimo minuto che apre molti quesiti ma che non lascia vedere risposte risolutive almeno nell'immediatezza. Qualche telefonata che ti porta a spalancare le porticine piccole degli armadi personali, che nascondono forse troppi scheletri o quanto meno troppo grandi. Nella giornata ci sono anche momenti di confronto o come mi verrebbe da chiamarli "sconfronto" che danno l'idea del comune sconforto. Poi la giornata lavorativa termina, e me ne torno a casa con quella sensazione di aver dimenticato qualcosa o di non aver fatto tutto.
Compro il pane e resto qualche minuto in attesa per pagare in attesa che la cassiera ci possa dare retta e una persona mi passa anche avanti, ma non me ne preoccupo. La testa vaga sfocatamente su pensieri lontani. Al rientro, altra telefonata anche questa strana, stanca, svogliata nei contenuti, mentre distrattamente guardo una partita di calcio degli europei. La telefonata finisce dopo 50 minuti su per giù. Ed è lì che mi assale quel senso di consapevolezza. Prende corpo quanto discutevo al telefono. Stacco la TV attivo la connessione ad internet e vengo qui a scrivere come ogni volta che troppi pensieri si addensano nella mia testa. Non ho ancora scelto il titolo quando sono a questo punto della scrittura, perché non è a fuoco il vero tema di queste righe. In coscienza lo so ma ancora non lo voglio scrivere, ancora lo sto definendo nei dettagli... si perché non è solo questo. Non voglia di contare quante volte l'ho già ripetuto, ma è tutto qui in queste quattro parole: "non è solo questo"
La nostra quotidianità è l'insieme di molte cose, problemi lavorativi, economici, personali, sociali, storici, politici, ed ho la netta sensazione che anche se non vogliamo ammetterlo siamo tutti vittime della stessa condizione. Siamo preoccupati e non poco. L'incertezza del futuro, l'incapacità di tornare alle nostre vite di prima, la necessaria presa di responsabilità diretta o indiretta ci attanaglia. Ci preoccupa e spaventa di non essere noi i fautori del nostro futuro perché altri hanno il potere di decidere per noi, o così vogliono farci credere. Sento il senso di impotenza verso "angherie" che ci schiacciano e contro le quali non abbiamo armi e difese. Ma non voglio credere che sia così. Non è solo questo. Io ammetto di avere paura per il mio futuro, ammetto che mi sento imprigionato in una strana ed eterea gabbia che mi soffoca e dalla quale non riesco ad uscire. Poi però mi fermo un istante.
Il panico non è mai stato mio amico, quindi lo allontano. Faccio un respiro e con la mente vado a cercare nel mio passato, negli insegnamenti ricevuti in gioventù, a ricordare i ricordi dei vecchi, a ritrovare quella banale quotidianità di un tempo. Mi ritrovo con la mente a vedere il me stesso di 20 anni fa vestito con gli abiti corti di mio fratello maggiore, ad andare in giro a piedi o con una bicicletta scassata di 3 mano. A vedere mio padre che fa i conti di casa per capire se potremo permetterci le ferie o meno, o comprare un nuovo televisore con il telecomando o restare con quello a pulsanti e manopole. Vedo mia madre che lava a mano per non spendere troppo con la lavatrice che consuma troppa corrente. Vedo mio fratello che guida la sua 500 di 4 mano nonostante siano già 10 anni che  ha la patente. Mi ricordo che con meno facevamo di più. Si sta di più con la gente con poco, si stava tutti a darsi una mano, si stava tutti a contare le lire per arrivare a fine mese. Ricordo che il lusso era per altri non per noi. Ricordo che nonostante tutto, c'era dignità, rispetto e solidarietà. Prima c'erano le persone, gli affetti, le questioni importanti della vita erano la salute e qualità della vita. Oggi non è più così. Ci siamo forse smarriti? Ci siamo imborghesiti inconsapevolmente? Certo che oggi siamo terrorizzati di quanto ci si pone davanti tutti i giorni e siamo tutti struzzi: nascondiamo la testa, distogliamo lo sguardo perché non vogliamo comprendere che non sia più borghesi. Io sono sempre stato spiantato e lo resterò per tutta la vita: me ne vanto. Avrò sempre gli abiti corti, vecchi e di qualcun altro, ma non mi importa. Voglio tornare ad avere coscienza di me stesso, della mia dignità di essere umano, di ricordare che non sono il solo. Parecchie volte l'ho scritto e anche questa volta mi ripeterò. Sono un fortunato e di questo sono grato. Nonostante periodi meno buoni, non voglio dimenticare che sono non ho motivo di lamentarmi. Voglio ritrovare equilibri antichi da condividere con chi ha la medesima comunione di intenti, e lo so che non siamo pochi.
Non è solo questo, è che la vita è faticosa, ogni giorno le responsabilità e le difficoltà ci mettono alla prova, non sono da evitare, da svicolare o ingannare, sono da prendere ed affrontare, giorno per giorno, perché questa è la vita. Senza sarebbe tutto troppo noioso e non potremmo avere modo i risollevare la testa, che è la cosa che ci riempie, che ci fa sentire vivi e ci fa sentire noi stessi. Non solo io, molti si ritrovano con questo senso di impotenza, frustrazione e sconforto, per questo sarà più facile ritrovarsi e giorno giorno dopo giorno disegnare una mondo che ci piace di più, in ogni aspetto.
Non è il lavoro a nobilitare l'uomo,  affrontare la vita che ci rende nobili e signori!

Ora torno agli europei, i pensieri sono meno densi e posso ritornare alla routine per finire questa giornata e iniziare quella di domani che affronterò meglio di oggi o di ieri.