lunedì, febbraio 21, 2011

La Finestra

Tra i nuovi mezzi di comunicazione sulla rete la chat è quella che rappresenta meglio il concetto di finestra sul mondo, attraverso questo strumento è possibile raccogliere un certo numero di persone nello stesso momento e metterle in condizione di comunicare, scambiare, confrontare tutta una serie di argomenti, esperienze, emozioni e pensieri di ogni genere. Per quello che la mia esperienza permette ho visto la crescita di questo mezzo di comunicazione nonché la sua trasformazione. Pur ammettendo che il mio punto di vista è limitato, personalmente non mi ci ritrovo più con le chat moderne, non tanto per la complessità che possono presentare, bensì per i contenuti che vi leggo e l'uso che ne viene fatto.
Nel periodo del mio inizio le funzionalità erano assai ridotte ed essenziali, ma era quanto bastava a permettere di comunicare con persone di altre città sia condividendolo con tutti o solo con una persona alla volta, e l'uso era uniforme tra tutti, cioè tutti erano lì per chiacchierare con gli altri, leggere di idee diverse, contestate con toni rispettosi, scoprire nuove cose, usi costumi, ecc. Nel tempo la crescita nell'uso di internet ha necessariamente aumentando le potenzialità degli strumenti tra cui anche le chat, che hanno preso aspetti grafici più accattivanti e nuove funzionalità sia grafiche che di comunicazione e controllo, ma nel contempo è cambiato anche l'approccio allo strumento. Ancora oggi non riesco a individuare una causa unica di questa trasformazione, sono più propenso a pensare che siano molteplici e fondamentalmente figlie di un abuso di comunicazione comprese le parti meno ingenue derivanti dai nuovi usi, dalle nuove mode. Così siamo arrivati in una stanza in cui non si chatta (scrivere) solamente più, ma si può parlare e vedere  i propri interlocutori, personalizzando i famosi nickname, che invece erano peculiarità delle vecchie chat ovvero dei nomi di fantasia attraverso i quali mostrare solo alcune parti di se e solo successivamente il resto. Ora questa trasformazione delle potenzialità delle chat e le nuove abitudini sociali hanno fatto si che la socializzazione mascherata divenisse trasparente portando al fast-food dello strumento. Si determina subito se l'interlocutore ci piace o meno, se ci voglio fare una cosa piuttosto che un'altra, si arriva troppo presto e determinare simpatie e antipatie, prevaricando tutte le netiquette del caso.
Ovviamente non tutte le chat o non tutte le stanze delle chat sono uguali e rispecchiano quello che descrivevo, ma proprio per questo dilagare con temi prestabiliti nei nomi delle stanze, nella conformazione iniziale della chat ho la sensazione che si sia perso il fascino iniziale della finestra sul mondo della rete: una finestra attraverso la quale vedere qualcosa di nuovo, un opportunità di non esporsi troppo osservando e lasciarsi osservare a piccole dosi, portando le persone a scrivere i pensieri; già scrivere i pensieri che si sono tramutati in codici cifrati di parole modificate, contratte, condensate in codici fiscali, simboli convenzionali che diminuiscono la capacità di espressione e definizione dei pensieri. Oggi ogni volta che entro in chat perdo solo 15 minuti per entrare in simbiosi con le terminologie ed i ritmi di interazione per non essere escluso dopo solo due righe scritte perché abituè del antico modo di approcciare, o come spesso accade vengo letto come una lingua straniera. Poche inoltre sono le isole felici dove entrare, poter salutare ed essere ricambiati, ed essere incluso nei discorsi, per la maggior parte delle ambientazioni sono tutti personaggi che si conoscono e costruiscono microclimi di dialogo dentro i quali resta difficile entrare. A tutto questo si aggiunge un enorme aumento delle diffidenza: mentre un tempo la chat 1 a 1 erano un po' una sfida ma ancora si poteva tentare, oggi è facile trovarsi sbattuta la porta in faccia, addirittura senza replica solo per preconcetti e prevenzioni eccessive. La finestra sul mondo di internet che conoscevo io, non c'è più. Non c'è più modo di raccogliere un po' di persone dalla chat e ritrovarsi intorno ad una tavolo a mangiare una pizza chiamandosi per nickname ridendo per l'assurdità della cosa, e conoscere così nuove persone senza secondi fini, ma solo per il piacere di stare insieme... certo oggi è tutto più complicato e rischioso, ma da dove è venuta tutta questa diffidenza e superficiale indifferenza per il pensiero altrui? L'estremizzazione del iocentrismo sta portando a una estremizzazione ed allontanamento delle persone dalle persone, seduti ad una scrivania davanti ad un monitor a scrivere di leggerezze piuttosto che di sconcezze senza preoccuparsi di cosa o chi ci sia dall'altra parte, senza interessarsene veramente, solo per passare delle ore collegati in una chat dimenticando il mondo reale fuori...
Si trovano ancora persone apprezzabili con cui dialogare ma sono sempre meno e guarda caso di una generazione molto vicina alla mia; nelle nuove c'è arroganza, irriverenza, diffidenza e poca voglia di scoprire e scoprirsi (non dai vestiti) ma dei pensieri e delle emozioni; sembra che le chat oggi siano ritrovo per la fuga dalla realtà cercando conforto nel disagio che si diffonde sempre più nel vivere le nostre vite, vittime tutti di una tipologia di comunicazione che ci globalizza tutti verso modi e consuetudini stereotipanti e alienanti. Si dovrà aspettare una drastica caduta della babele cybernetica per ritrovare il gusto del dialogo?

giovedì, febbraio 03, 2011

Sublimando & Subliminando

Anno 2011 siamo da un decennio nel terzo millennio. Della storia che ho studiato ricordo molto poco lo ammetto, ma è anche vero che con il bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti, non c'è bisogno di ricordare, ci ricordano gli altri gli eventi del passato. In questo terzo millennio oramai ho la sensazione di vivere l'esistenza che altri mi impongono a suon di slogan che cantano il meglio di me, di promesse quantomeno farlocche, di mode e consuetudini d'avanguardia proprio perché siamo nel futuro... Beh mi sono bello che stufato di accettare questa realtà che è palesemente obliante! La storia pare che sia un evento da gossip più che un momento storico che ci dovrebbe ricordare/insegnare qualcosa, un momento di vanagloria per poter dire "sono stato bravo ho reso memoria" peccato che tutto venga distorto; sia ben chiaro non è che parlo della storia quella importante come qualche evento tragico di cronaca nera, o un evento bellico di portata mondiale o la liberazione da una oppressione o di un evento catastrofico, parlo della storia che fa comodo a chi ce la racconta. Il concetto è di per se un po' elaborato ma provo a rendervi partecipi in qualche modo.
Nel mio percorso scolastico ho avuto occasione di studiare la storia negli usi e costumi dei vari periodi più importanti, ed in parallelo anche le arti figurative più o meno sempre per gli stessi periodi. Bene premesso che all'epoca ero una giovane mente scevra da inquinamenti politici e dai preconcetti sociali, ho assimilato dei principi di espressione visiva e dei concetti sociali che mi fanno oggi pensare di essere preso in giro da chi ha, diciamo, forza ed espansione di comunicazione. Più mi guardo attorno e più mi sembra di vivere in un giornale patinato, si perché vedo una desolante popolazione fotocopia in mezzo alla quale ben pochi si distinguono e per lo più per questioni non eccellenti; tutti vestiti come suggerisce "la moda", tutti a rincorrere canoni di estetica, tutti a stare al passo con strumenti tecnologici d'avanguardia, tutti a vivere una vita omogeneizzata... I sistemi di comunicazione odierni sono stati monopolizzati dagli studi di marketing e sociologici, che hanno instaurato un regime tale da avere il controllo delle masse sfruttando un vecchio concetto degli anni 80 impiegato nel cinema, ovvero la subliminazione. Già attraverso meccanismi che superano il conscio e si radicano nell'inconscio si può ottenere il condizionamento delle persone su cui si va ad intervenire, e in questi ultimi 10 anni devo dire che chi ha usato questo strumento è stato davvero molto bravo, ma davvero tanto. Attraverso i canali più disparati sono riusciti a mettere mano su ogni categoria merceologica dalla quale ognuno di noi può attingere, mettendo a frutto quello che più banalmente viene chiamata pubblicità. Si perché tra aspetti pubblicitari, mezzi di informazione di varia natura culturale e istituzionale, hanno drogato la popolazione che fa sempre più fatica a ragionare con la propria testa perché viene bombardata ogni momento da "qualcosa" che li induce a fare e pensare le cose in un certo modo. Vi facciamo un esempio: io sono una persona che fisicamente è fuori dalla media nazionale e di conseguenza sono obbligato a ricerche estenuanti per quanto concerne l'abbigliamento, sono obbligato a valutare ambienti in cui inserirmi (aerei, treni, auto, tavoli nei locali pubblici, ecc.) da un punto di vista più dimensionale; bene la conclusione è che non posso vestire come gli altri, non sono comodo negli ambienti dove comunemente stanno gli altri, e mi rendo conto di essere costantemente fuori dalla portata di un sacco di cose; stessa cosa potrebbe accadere con chi ha delle allergie e/o intolleranze alimentari gravi. Per questo mi ritrovo a dover guardare oltre ogni cosa e mi sono reso conto che nella media nazionale tutti sono omologati a quanto propone il mercato che sia dell'abbigliamento, dell'alimentazione, della mobilità, della comunicatività... tutti chi più chi meno si allineano con quanto si trova a portata di mano che sia accessibile o meno (facendo poi conti con i debiti). Come vi dicevo inizialmente nel mio corso di studi ho seguito anche la comunicazione visiva, dove mi venne insegnato che in questa arte/pratica occorre raggiungere lo scopo di comunicare un qualcosa in modo pratico diretto, adottanto tutta una serie di accorgimenti che possano agevolare l'interazione con i vari soggetti: bene oggi questa pratica ha superato il limite! Guardatevi attentamente intorno, dentro casa, in auto, a scuola, in palestra, per strada e nei locali che frequentate per la maggiore. Cosa vedete? Io vedo molto di uguale e monotono e poco di distintivo e significativo, le differenze stanno solo nei prezzi in conclusione.
Le persone sono anonime, si distinguano solo negli eccessi caratteriali o di abbigliamento, le auto sono tutte pressapoco con le medesime linee e dimensioni, i locali si sono più o meno tutti uniformati a ben vedere almeno per categoria e per tipologia di frequentazione, nei supermercati tutti i prodotti si assomigliano e cambiano per la confezione ed i colori ma alla fine è sempre la stessa roba, e la roba che ti vendono loro e non quella in particolare che cerchi tu; in tv i programmi oramai sono contenitori preconfezionati che ci vengono propinati di stagione in stagione con lievi cambiamenti per mantenere un minimo l'attenzione e l'audience... Insomma la comunicazione visiva  subliminale ha fatto si che ci fosse una enorme stereotipazione dei soggetti, negli usi, nei costumi e nella cultura, nei consumi. Qualcuno potrà obbiettare che non è così: potrei anche concordare peccato però che a ben vedere i programmi televisivi di un certo livello sono oltre le 23.00, quando va bene, altrimenti ancora più tardi ovvero quando è oramai ora di andare a dormire, i negozi per alimenti stanno quasi scomparendo, varietà di compagnie telefoniche ci sono, ma alcune fanno le stesse tariffe e promozioni, i vestiti cambiano, ma fino ad un certo punto, cambia giusto il nome e modo di esprimere la taglia.
Ho volutamente omesso la tecnologia, strumento attraverso il quale vi scrivo... perché vorrei che ci rifletteste per conto vostro rispondendo a questa domanda: quanto della tecnologia che vi circonda è oggettivamente necessaria nella vostra vita, considerando il cambio generazionale che ha ossia all'incirca ogni 4 mesi di proposte sul mercato e circa 8 mesi nel vostro acquisto o utilizzo?

In conclusione personalmente ritengo che ormai siamo schiavi di quello che ci viene propinato; la falsa idea che abbiamo della libertà di sceltà è  per me solo una chimera creata per darci l'illusione di non essere dei burattini. Che sia politica, salute, alimentazione, tecnologia, connettività, comunicazione, qualità della vita, condizione lavorativa... tutto è soggetto a subliminazione e non possiamo esimerci dal subirla passivamente. Potrà sembrare desolante ma dal mio punto di vista è così!

mercoledì, febbraio 02, 2011

Kaizen&Muda - Morte della Passione

Sinceramente non ricordo se ho mai parlato del mio lavoro in questo blog,  forse mai se non poche volte,  il più delle volte scrivo seguendo un impulso emotivo o razionale senza però costruire una struttura nel blog; scrivo quello che mi passa per la mente e quando l'ispirazione mi coglie vengo qui a scrivere di quello che non riesco più a trattenere. Questa volta parlerò vagamente di lavoro.
Non so quanti di voi abbiano familiarità con i due termini del titolo, forse chi ha studiato la cultura giapponese o abbia fatto un corso da dirigente o come me un corso sulla qualità in senso ampio parlando di azienda. Spesso mi hanno detto che dovrei fare il capo, oppure che dovrei essere un dirigente, ma per lo più do credito a quanto mi disse il mio secondo titolare: "a fatica starai alle dipendenze di qualcuno, troppo indipendente e forte professionalmente", dove dicendo forte intendeva dire che avevo ed ho la tendenza a dire la mia ed a sostenere le mie posizioni; quella frase l'ho sempre intesa come un complimento e mai come un giudizio negativo, forse sbagliando.


Dopo 13 anni di lavoro posso confermare quello che mi disse il mio secondo  datore di lavoro, ebbene si faccio fatica ad essere un semplice impiegato. Non è che sono affetto da manie di onnipotenza o caratterialmente io sia presuntuoso, posso ragionevolmente dire invece di essere in contrapposizione con quelle che sono le politiche aziendali della mia generazione.
Figli degli anni '80 in cui tutto era possibile con una buona dose di scaltrezza e di imbonimento, superati gli anni '90 della degenerazione economica, ora nel terzo millennio paghiamo la fame di potere e di appartenenza alla classe dirigente in genere. Più nessuno si sente inferiore a nessuno anche non avendo le migliori qualifiche, chi arriva in determinate posizioni esercita la propria egemonia, a volte momentanea, per la propria sopravvivenza anziché per il beneficio dell'azienda o quanto meno del gruppo di lavoro: tema questo utilizzato, invece, in modo subdolo per giustificare il proprio operato e la propria sete di carriera.
Ma andiamo con ordine, pur non essendo un sociologo o un analista economico proverò a fare un breve escursus sul mondo del lavoro per come l'ho conosciuto e vissuto io. Trentani fa e ancor prima viveva la regola del fare la gavetta, dimostrarsi volenterosi, imparare un mestire e con gli anni di esperienza migliorare la propria posizione, guadagnata diciamo con il merito e con l'esperienza e mano a mano entrare nei meccaniscmi gerarchici con tutti i risvolti del caso; ventanni fa invece prendeva piede il carrierismo facile con le raccomandazioni (in precedenza un esclusiva della classe medio alta della società, oggi appannagio di quasi tutti  coloro che abbiamo un minimo di conoscenze dirette o indirette) che ha portato a nuovi modelli di lavoro meno qualitativi e più di rappresentazione iniziando così il deterioramento degli ambienti di lavoro; dieci anni fa, quando ho cominciato io, il mondo del lavoro era all'inizio del precariato e dello sfruttamento delle cosidette risorse umane, dove per niente lavorava chi per primio si presentava ed in alcuni casi si svendeva, ed in uno scenario tale si poteva trovare di tutto: persone qualificate, persone raccomandate, persone disperate... e ambienti di lavoro sempre più sofferenti e resi invivibili dalle voci di corridoio che cominciavano ad andare per la maggiore. Si arriva  così ai tempi attuali  dove è per me evidente che nel corso del tempo le politiche aziendali non sono cambiate più di tanto, magari qualche leggera flessione in una direzione piuttosto che in un altra a seconda dei momenti economici ed degli scenari politici, ma di base la linea di condotta è sempre la stessa. Soprattutto nelle medio-grandi aziende non esiste il controllo se non dei massimi sistemi, mentre nei microclimi dei livelli inferiori spesso non si sa nemmeno cosa accada.

In alcuni corsi che ho avuto la fortuna di fare sulla gestione e miglioramento delle ralazioni e dei flussi aziendali è emerso sempre un punto fondamentale ovvero la piramide a filtri. In ogni azienda esistono delle gerarchie piramidali, questo è risaputo, ma quello che a volte non si considera è che la comunicazione e la gestione del lavoro sono filtrati bidirezionalmente: dall'alto verso il basso e dal basso verso l'alto. Già perchè mentre il gran capo parla con pochi elettti, definiti primi riporti, questi a loro volta riportano a loro subalterni e via discorrendo, dove non  ci si rende conto che  l'informazione iniziale gradualmente viene modificata nella catena, dovendo essere filtrata a livelli per gerarchie di competenze, dove la modificazione potrebbe più pericolosamente subire delle interpretazioni da soggetto a soggetto, per non dire che sia diversificata a secondo di quali sono gli interlocutori, facendo entrare in causa gli interessi di reparto o del gruppo di lavoro; questo fa si che si venga a creare in questo modo una difficoltà di sinergia all'interno dell'azienda causando conflitti di interesse ed eventualmente l'inzio di giochi di potere che infruttosamente complicano la gestione quotidiana del lavoro in azienda e del buon risultato. Contestualmente la comunicazione inversa dal basso verso l'alto non viene riportata in modo lineare e completo, dunque nuovamente filtrata e manipolata per evidenzare pregi e difetti che portano maggiori o minori considerazioni che andando verso i vertici permettono di ottenere attenzione o discredito. E' una cosa normale, non è prerogativa di una azienda piuttosto che di un'altra, ma quello che ho imparato e che questa è la politica aziendale generica vivere nella piramide sapendo e gestendo proprio questa comunicazione pilotata già dai vertici a cui si contrappone quella dal basso, producendo quello che tutti noi consideriamo solamente "un casino di lavoro". Nel mio breve decennio di lavoro ho scoperto che le linee di condotta dei miei responsabili sono figlie del livello gerarchico del momento, comunque analoghe tra loro e diversamente gestite per gradi di funzionalità. Di norma si negano i difetti e ci si pone sempre nella posizione di poter dimostrare le lacune di altri, in rari casi vengono intraprese azioni di condivisione e discussione creativa rivolta al consolidamento delle leadership e della miglior funzionalità aziendale che poi non sono altro che le basi del kaizen: ovvero filosofia comune di condotta, unico modus operandi per il comune obbiettivo, che si raggiunge anche attraverso la ricerca delle anomalie nei processi e nei sistemi aziendali, ovvero le citate "muda".
Posso comprendere il carrierismo, posso comprendere che non tutti possano nascere imparati, ma non comprendo perché il terzo millennio continui a crere una classe dirigente così aggressiva e distaccata dalla quotidianità dove non si rispettano ne le persone ne il loro lavoro, considerando tutto come un grande gioco in cui dimostrare le proporie capacità di giocatori, utilizzando troppo spesso  i bluff, come fosse una partita di poker, quando invece sembra un teatrino dove ci sono burattini e burattinai che giocano... giocano banalmente a dama pensado invece che sia una partita a schacchi.

Personalmente tutto questo mi ha schifato, la passione che avevo per il mio lavoro e per la mia professionalità orami è scomparsa, non trovo più quella scintilla per dedicarmi alle mie mansioni quotidiane, non torno più a casa con la giusta soddisfazione per l'operato della giornata... esco dal lavoro attangagliato dall'apatia e da un senso di nausea. Avrei voluto ed ho tentato di trovare i giusti equilibri, ma non ho raggiunto lo scopo; se considero lo stato d'animo di queste ultime settimane, vedendo uno dei migliori gruppi di lavoro sfaldarsi sotto i colpi dell'indifferenza e dell'incuranza che incombono, producendo sconforto, disgregazione, decdimento della qualità professionale, ne esco sconfitto, come persona e come professionista.
Invidio il tempo in cui lavorava mio padre che combatteva con la quotidianità lavorativa senza vedere cosa succedeva nella parte alta dell'azienda, oggi volenti o nolenti si viene coinvolti in questi cosideti giocchi di posizione e potere, ma a ben vedere non si ottiene null'altro che preoccupazione e angoscia e quel che è peggio distacco dalla propria professione e in alcuni casi anche dai colleghi.


Domani sarà un altro giorno di lavoro, ma ormai senza un kaizen e senza volontà di ricercare muda, unico istinto la sopravvivenza: credo che ricomincerò a cercare una nuova opportunità di lavoro, chissà che non riesca ad avvicinarmi un po' a casa.

martedì, febbraio 01, 2011

Ecchecavolo

Sarà un po' lo stato d'animo che ho.
Sarà che qui sono rare le volte che mi sento a mio agio.
Sarà che sto troppo da solo.


A leggere certe cose mi prende il magone, mi fa ripensare allo sforzo fatto per smuovere un'inerzia che da troppo tempo mi attanagliava. Tornare in luoghi dove ho trovato il mio posto nel mondo: con fatica ma con passione e gioia, udendo di nuovo suoni familiari e che come sirene mi richiamano indietro nel tempo. Frustrare la passione della mia professionalità perché non riesco più ad applicarla nelle mie giornate di lavoro.

Quei pochi risulati buoni e significativi che avevo raggiunto ora li tengo stretti a me, con tutte le forze per non cedere allo sconforto ed alla voglia di fuga, evitando di viverli come ricordi.

Vivo una tormentata caotica ricerca di equilibrio e serenità!

mr.zugo