domenica, giugno 08, 2014

Arte vs Tecnologia - (Questione di Carattere)

Per chi mi sta vicino non è un mistero che nelle ultime settimane sono pervaso dalla noia; non trovo più nulla ti sufficientemente attraente, coinvolgente e stimolante al punto giusto. In momenti come questi che mi ritrovo a vagare in giro per il web alla ricerca di qualche notizia, evento che colpiscano la mi attenzione con la speranza di trovare qualcosa di diverso da fare. Nelle ultime settimane di maggio per mia fortuna ho avuto modo di sfruttare due occasioni: una personale andando al XXVII Salone del Libro a Torino dove ho avuto modo di partecipando ad una tavola rotonda molto appassionante; la seconda occasione di distrarmi e rinfrescare un po' d'interesse è stato invece professionale, andando al 20mo Digital Printing Forum incentrato sulla tecnologia Ink-Jet (l'ultimo forum a cui partecipai fu 10 anni prima circa). Ebbene senza volere mi sono messo nella condizione di crearmi una momento stimolante ed accattivante come da tempo non mi capitava. Credo sia opportuno che faccia un passo indietro per far meglio comprendere l'entusiasmo per quanto ho appena finito di scrivere.

Devo tornare a qualche anno prima quando passando casualmente in una libreria di Pomezia, mi sono soffermato su uno scaffale dove i libri non costavano più di 2 euro, ed è lì che presi 2 libri per i quali, solo dal titolo, mi ero fatto l'idea che fossero incentrati sulla psicologia o qualcosa del genere, invece con mia parziale delusione scoprii che erano uno rivolto alla comunicazione e sviluppo sociale e l'altro invece era un trattato sull'editoria nel corso di un secolo (dal 1861 al 1977 circa). Il secondo  libro l'ho letto qualche mese fa, finito con un po' di fatica in quanto in troppi passaggi  era troppo didascalico e costellato di date su diverse pubblicazioni; ciò nonostante la lettura è stata per certi versi illuminante e per altri confortante, scoprendo come l'editoria sia rimasta sempre un po' in disparte dagli sviluppi economici /industriali dei massimi interessi, ma restando sempre un punto fisso come mezzo di comunicazione, espressione e rappresentazione dei tempi, della cultura  sociopolitica del nostro paese.

Ed è così quindi che mettendo insieme questi tre eventi diverse, ho fatto un viaggio emozionale e culturale di quasi 2 secoli oramai. Partendo dal libro letto qualche mese fa che si intitola "Questione di Carattere", passando per la partecipazione alla tavola rotonda all'interno del Salone del Libro potendo ascoltare di persona Enrico Tallone argomentare su " Belle lettere e Bei Caratteri - Officina, editoria di progetto. Il design del libro tipografico moderno", arrivando sino alla partecipazione al 20mo Digital Printing Forum in cui si è parlato di "Production Inkjet Printing in un disegno che coinvolge tutta l’industria grafica e della comunicazione" . Seppur in modi e tempi un po' dilatati ho avuto l'occasione di studiare il libro e poi toccarne con mano le conclusioni ascoltando la passione per l'editoria e la stampa tradizionale di un "Tipografo" come Tallone (la sua famiglia è da sempre in questo mondo) contro le aspettative dei cultori della New Generation dell'era digitale che nonostante i grandi passi avanti e la diversa capillarità che ha raggiunto non dimostra avere un "carattere" ma solo un istinto vorace di espansione.

Leggendo il libro se ne ricava che la comunicazione è sempre stata un fondamento per la divulgazione e la condivisione di ogni tipo di messaggio, ma anche uno strumento visivo importante che col passare del tempo si è trasformato ed adeguato alle esigenze della platea che raggiungeva; i caratteri tipografici assumevano forme e caratteristiche di volta in volta sempre diverse per incontrare i gusti dei lettori e dei divulgatori dei contenuti, non tralasciando anche gli aspetti visivi degli spazi e della disposizione, portando anche la tecnologia ad innovarsi e adeguarsi alle esigenze derivanti: industrializzazione, velocità, grande numerosità sono stati gli elementi centrali sui quali i "tecnologhi" hanno posto la loro attenzione per recepire le nuove forme di espressione ponendole al servizio degli stampatori recependo comunque sempre le aspettative degli editori. Ed in questo modo che dopo aver letto il libro ho colto la passione e l'entusiasmo di un editore come Tallone che nonostante la tecnologia sia arrivata quasi a sostituire l'umanità dell'arte della stampa, non gli si arrende ed ancora cerca i migliori caratteri da stampa, ancora cura le forme tipografiche, ancora abbina un andamento di un carattere tipografico al contenuto del libro che deve realizzare, studiandone tutti gli aspetti come anche quelli della supporto sul quale stampare ovvero la carta, e valutandone tutte le alchimie per fa sì che il prodotto editoriale finale sia una opera completa e che possa assolvere al proprio ruolo al meglio, attirando, trattenendo, coinvolgendo e facendo sognare il lettore. La tecnologia dal canto suo ha pochi aspetti significativi dalla propria parte: tolto lo sviluppo e il consolidamento dell'affidabilità, della velocità e della ripetibilità non può sostituire quello che sta dietro ossia l'uomo che sceglie che pondera che abbina e crea qualcosa. Lasciare spazio a chi costruisce e sviluppa tecnologie e comunicazione digitale, ci ritroveremmo con un appiattimento della comunicazione con pochi set di caratteri, con poche impostazioni di pagina; a questo inoltre si aggiunge il fatto che la dematerializzazione di un prodotto editoriale consente anche la frammentarietà della comunicazione ponendosi come obbiettivo la variabilità e la personalizzazione per raggiungere molti gruppi diversi tra loro in modo diverso e divulgando contenuti proprietari che non danno più un senso di collettivo e comunitario.

Ovviamente sono semplificazioni di un pensiero molto più elaborato sul quale mi dilungherei ancora senza fine, ma rischierei di diventare noioso, quindi, concludo questo post sintetizzando un po' i contenuti dell'altro libro che presi a Pomezia: siamo la comunicazione che rappresentiamo, ogni epoca ha la proprie caratteristiche e peculiarità ma quello che importa è che quanto si comunica abbia sempre un'anima, un carattere propri che possano fare i conti con le generazioni future per lasciare un segno tangibile di un senso di coscienza. Lasciare le le parole, i pensieri, le immagini passino e ripassino senza un senso di appartenenza ad una generazione sarebbe come scrivere nell'aria in modo invisibile lasciando che scompaia il tutto senza raggiungere nessuno. Così grazie ad eventi un po' casuali ho trovato un filo conduttore di mio interesse scrollandomi un po' di dosso la noia che mi pervadeva e ricominciando a guardare il mondo intorno a me con occhi rinfrescati.