mercoledì, febbraio 02, 2011

Kaizen&Muda - Morte della Passione

Sinceramente non ricordo se ho mai parlato del mio lavoro in questo blog,  forse mai se non poche volte,  il più delle volte scrivo seguendo un impulso emotivo o razionale senza però costruire una struttura nel blog; scrivo quello che mi passa per la mente e quando l'ispirazione mi coglie vengo qui a scrivere di quello che non riesco più a trattenere. Questa volta parlerò vagamente di lavoro.
Non so quanti di voi abbiano familiarità con i due termini del titolo, forse chi ha studiato la cultura giapponese o abbia fatto un corso da dirigente o come me un corso sulla qualità in senso ampio parlando di azienda. Spesso mi hanno detto che dovrei fare il capo, oppure che dovrei essere un dirigente, ma per lo più do credito a quanto mi disse il mio secondo titolare: "a fatica starai alle dipendenze di qualcuno, troppo indipendente e forte professionalmente", dove dicendo forte intendeva dire che avevo ed ho la tendenza a dire la mia ed a sostenere le mie posizioni; quella frase l'ho sempre intesa come un complimento e mai come un giudizio negativo, forse sbagliando.


Dopo 13 anni di lavoro posso confermare quello che mi disse il mio secondo  datore di lavoro, ebbene si faccio fatica ad essere un semplice impiegato. Non è che sono affetto da manie di onnipotenza o caratterialmente io sia presuntuoso, posso ragionevolmente dire invece di essere in contrapposizione con quelle che sono le politiche aziendali della mia generazione.
Figli degli anni '80 in cui tutto era possibile con una buona dose di scaltrezza e di imbonimento, superati gli anni '90 della degenerazione economica, ora nel terzo millennio paghiamo la fame di potere e di appartenenza alla classe dirigente in genere. Più nessuno si sente inferiore a nessuno anche non avendo le migliori qualifiche, chi arriva in determinate posizioni esercita la propria egemonia, a volte momentanea, per la propria sopravvivenza anziché per il beneficio dell'azienda o quanto meno del gruppo di lavoro: tema questo utilizzato, invece, in modo subdolo per giustificare il proprio operato e la propria sete di carriera.
Ma andiamo con ordine, pur non essendo un sociologo o un analista economico proverò a fare un breve escursus sul mondo del lavoro per come l'ho conosciuto e vissuto io. Trentani fa e ancor prima viveva la regola del fare la gavetta, dimostrarsi volenterosi, imparare un mestire e con gli anni di esperienza migliorare la propria posizione, guadagnata diciamo con il merito e con l'esperienza e mano a mano entrare nei meccaniscmi gerarchici con tutti i risvolti del caso; ventanni fa invece prendeva piede il carrierismo facile con le raccomandazioni (in precedenza un esclusiva della classe medio alta della società, oggi appannagio di quasi tutti  coloro che abbiamo un minimo di conoscenze dirette o indirette) che ha portato a nuovi modelli di lavoro meno qualitativi e più di rappresentazione iniziando così il deterioramento degli ambienti di lavoro; dieci anni fa, quando ho cominciato io, il mondo del lavoro era all'inizio del precariato e dello sfruttamento delle cosidette risorse umane, dove per niente lavorava chi per primio si presentava ed in alcuni casi si svendeva, ed in uno scenario tale si poteva trovare di tutto: persone qualificate, persone raccomandate, persone disperate... e ambienti di lavoro sempre più sofferenti e resi invivibili dalle voci di corridoio che cominciavano ad andare per la maggiore. Si arriva  così ai tempi attuali  dove è per me evidente che nel corso del tempo le politiche aziendali non sono cambiate più di tanto, magari qualche leggera flessione in una direzione piuttosto che in un altra a seconda dei momenti economici ed degli scenari politici, ma di base la linea di condotta è sempre la stessa. Soprattutto nelle medio-grandi aziende non esiste il controllo se non dei massimi sistemi, mentre nei microclimi dei livelli inferiori spesso non si sa nemmeno cosa accada.

In alcuni corsi che ho avuto la fortuna di fare sulla gestione e miglioramento delle ralazioni e dei flussi aziendali è emerso sempre un punto fondamentale ovvero la piramide a filtri. In ogni azienda esistono delle gerarchie piramidali, questo è risaputo, ma quello che a volte non si considera è che la comunicazione e la gestione del lavoro sono filtrati bidirezionalmente: dall'alto verso il basso e dal basso verso l'alto. Già perchè mentre il gran capo parla con pochi elettti, definiti primi riporti, questi a loro volta riportano a loro subalterni e via discorrendo, dove non  ci si rende conto che  l'informazione iniziale gradualmente viene modificata nella catena, dovendo essere filtrata a livelli per gerarchie di competenze, dove la modificazione potrebbe più pericolosamente subire delle interpretazioni da soggetto a soggetto, per non dire che sia diversificata a secondo di quali sono gli interlocutori, facendo entrare in causa gli interessi di reparto o del gruppo di lavoro; questo fa si che si venga a creare in questo modo una difficoltà di sinergia all'interno dell'azienda causando conflitti di interesse ed eventualmente l'inzio di giochi di potere che infruttosamente complicano la gestione quotidiana del lavoro in azienda e del buon risultato. Contestualmente la comunicazione inversa dal basso verso l'alto non viene riportata in modo lineare e completo, dunque nuovamente filtrata e manipolata per evidenzare pregi e difetti che portano maggiori o minori considerazioni che andando verso i vertici permettono di ottenere attenzione o discredito. E' una cosa normale, non è prerogativa di una azienda piuttosto che di un'altra, ma quello che ho imparato e che questa è la politica aziendale generica vivere nella piramide sapendo e gestendo proprio questa comunicazione pilotata già dai vertici a cui si contrappone quella dal basso, producendo quello che tutti noi consideriamo solamente "un casino di lavoro". Nel mio breve decennio di lavoro ho scoperto che le linee di condotta dei miei responsabili sono figlie del livello gerarchico del momento, comunque analoghe tra loro e diversamente gestite per gradi di funzionalità. Di norma si negano i difetti e ci si pone sempre nella posizione di poter dimostrare le lacune di altri, in rari casi vengono intraprese azioni di condivisione e discussione creativa rivolta al consolidamento delle leadership e della miglior funzionalità aziendale che poi non sono altro che le basi del kaizen: ovvero filosofia comune di condotta, unico modus operandi per il comune obbiettivo, che si raggiunge anche attraverso la ricerca delle anomalie nei processi e nei sistemi aziendali, ovvero le citate "muda".
Posso comprendere il carrierismo, posso comprendere che non tutti possano nascere imparati, ma non comprendo perché il terzo millennio continui a crere una classe dirigente così aggressiva e distaccata dalla quotidianità dove non si rispettano ne le persone ne il loro lavoro, considerando tutto come un grande gioco in cui dimostrare le proporie capacità di giocatori, utilizzando troppo spesso  i bluff, come fosse una partita di poker, quando invece sembra un teatrino dove ci sono burattini e burattinai che giocano... giocano banalmente a dama pensado invece che sia una partita a schacchi.

Personalmente tutto questo mi ha schifato, la passione che avevo per il mio lavoro e per la mia professionalità orami è scomparsa, non trovo più quella scintilla per dedicarmi alle mie mansioni quotidiane, non torno più a casa con la giusta soddisfazione per l'operato della giornata... esco dal lavoro attangagliato dall'apatia e da un senso di nausea. Avrei voluto ed ho tentato di trovare i giusti equilibri, ma non ho raggiunto lo scopo; se considero lo stato d'animo di queste ultime settimane, vedendo uno dei migliori gruppi di lavoro sfaldarsi sotto i colpi dell'indifferenza e dell'incuranza che incombono, producendo sconforto, disgregazione, decdimento della qualità professionale, ne esco sconfitto, come persona e come professionista.
Invidio il tempo in cui lavorava mio padre che combatteva con la quotidianità lavorativa senza vedere cosa succedeva nella parte alta dell'azienda, oggi volenti o nolenti si viene coinvolti in questi cosideti giocchi di posizione e potere, ma a ben vedere non si ottiene null'altro che preoccupazione e angoscia e quel che è peggio distacco dalla propria professione e in alcuni casi anche dai colleghi.


Domani sarà un altro giorno di lavoro, ma ormai senza un kaizen e senza volontà di ricercare muda, unico istinto la sopravvivenza: credo che ricomincerò a cercare una nuova opportunità di lavoro, chissà che non riesca ad avvicinarmi un po' a casa.

5 commenti:

  1. meglio che non dica niente, meglio che non dica niente, meglio che non dica niente.....

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  2. cielidirlanda... vedremo, ho bisogno di tempo per pensarci bene

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  3. OOOOOOOOOooooooooooooOoooooooooOooooooooooooOOOOOOOOO

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  4. Giuro! non ti ho copiato scrivendo il mio post :-).

    Lavoriamo in due realtà diverse, distanti anche in termini di spazio l'una dall'altra. Abbiamo origini geografiche e culturali differenti ma ci accomuna questo sentimento frustrante: la mancanza di passione indotta, non congenita, sul lavoro...Che tristezza.

    P.S. - torni a goderti la nebbia?

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  5. Romis stupefatta???

    SadPuppy potessi decicidere seduta stante tornerei a godermi la nebbia, peccato che le realtà lavorativa odierna impedisce un movimento florido e solido per cambiare lavoro che sia a fronte di esigenze personali o professionali... siamo tutti sulla stessa barca

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